Wonder Woman Pilot 1974 Cathy Lee Crosby

Oggi ha il volto di Gal Gadot, ma fino a poco tempo fa la Wonder Woman per antonomasia era Lynda Carter, star della celebre serie del 1975-1979. Pochi sanno però che la principessa amazzone è stata al centro di altri progetti televisivi che non sono mai andati oltre il pilot.

1. 1967: una sit-com maschilista

Il primo ad avere l’idea di fare di Wonder Woman un’eroina televisiva fu nel 1967 William Dozier, nientemeno che il creatore della celebre serie Batman (1966-1968) con Adam West. Coinvolgendo uno degli sceneggiatori della serie, Stanley Ralph Ross (ma anche Stan Hart e Larry Siegel, che saranno poi autori del programma comico The Carol Burnett Show) realizzò un episodio pilota di circa 4 minuti allo scopo di coinvolgere nel progetto una grande produzione. Il corto si intitolava Wonder Woman: Who’s Afraid of Diana Prince?

La protagonista, interpretata dall’attrice Ellie Wood Walker, vive a casa con la madre. Una sera, mentre legge il giornale così distrattamente da cadere dalla poltrona, a causa di un tremendo temporale decide di andare in soccorso di Steve (Trevor?), in volo con il suo aereo. L’autoritaria madre le impedisce di uscire prima di aver finito la cena, lamentandosi su quale orribile sciagura sia avere una figlia adulta e non sposata in casa. Diana fa perno su una porta girevole, da cui un istante dopo esce indossando il costume di Wonder Woman (in una versione alquanto imbarazzante). Una voce narrante decanta con ironia i tradizionali attributi di Wonder Woman – «Lei sa di essere forte come Ercole, saggia come Atena, veloce come Mercurio ed è convinta di essere bella come Afrodite…» – e nel frattempo l’eroina si contempla allo specchio con mosse vanesie e vezzose, vedendosi più affascinante di quello che è visto che il suo riflesso ha le fattezze di Linda Harrison (in sottofondo, le note di Oh, You Beautiful Doll!). Finalmente, pronta a salvare il mondo, vola comicamente dalla finestra.

L’obiettivo era evidentemente quello di creare una sit-com con al centro non tanto le imprese di Wonder Woman quanto il suo poco edificante rapporto con la famiglia (come Captain Nice, serie dello stesso anno). La costruzione di un’eroina così risibile si basava, peraltro, su un repertorio ben riconoscibile di stereotipi maschilisti e misogini. Del resto anche il titolo, che fa eco al film del 1966 Chi ha paura di Virginia Woolf?, non fa che rimarcare la scarsissima credibilità di questa Wonder Woman. L’esperimento non andò oltre i 4 minuti del pilot. Sta di fatto che, grazie a quel progetto, Ellie Wood Walker e Linda Harrison furono le prime donne a vestire i panni della principessa amazzone in una pellicola.

2. 1974: bionda, senza superpoteri

Il secondo tentativo di portare Wonder Woman in tv è un film del 1974, anche questo pensato come pilot per un’ipotetica serie. Scritto da John D.F. Black, sceneggiatore di crime movie, il film mostra un’eroina molto diversa da quella dei fumetti.

Interpretata da Cathy Lee Crosby, Wonder Woman è bionda. Non indossa la tiara né il costume classico, ma un miniabito che ricorda vagamente una tuta sportiva. Non maneggia il lazo dorato ma un bastone. Non ha superpoteri, ma fa arti marziali. Ha abbandonato le sue sorelle amazzoni per andare a vivere nel mondo degli uomini, dove viene conosciuta come Wonder Woman ma anche come Diana Prince (Dee per gli amici). Diventa un’agente segreta, assistente di Steve Trevor. Le viene affidata la missione di recuperare dei documenti del Pentagono sottratti dai cattivi di turno e nascosti nella sella di un asino.

Pensare una serie con una supereroina senza superpoteri sembra un’idea bizzarra e anche un po’ inutile. Ma tutto ha una spiegazione. Nel 1968 lo sceneggiatore Denny O’Neil e il disegnatore Mike Sekowsky introdussero nella serie a fumetti un cambio radicale nel personaggio di Wonder Woman, inaugurando la cosiddetta “Diana Prince era. In queste storie l’amazzone rinuncia ai poteri e al costume, apre una boutique, cambia diversi fidanzati e combatte i cattivi a colpi di kung fu. Wonder Woman tornerà al suo splendore solo nel 1972, anche grazie all’intervento della femminista Gloria Steinem che, dando voce a un’ampia fetta di pubblico, sostenne la necessità di restaurare l’immagine originale della supereroina più rappresentativa del girl power.

Forse anche a causa di questo clima di “ritorno alle origini”, la Wonder Woman della Crosby non convinse per niente la ABC. Così, l’anno successivo fu realizzato un altro film pilot, The New Original Wonder Woman, molto più fedele all’eroina dei fumetti, con l’ex reginetta di bellezza Lynda Carter. Il resto è storia. Una chicca: nello speciale Wonder Woman ’77, ispirato proprio alla serie con la Carter, fa una comparsata la Wonder Woman bionda. È una sorta di versione alternativa dell’eroina con cui la vera amazzone deve confrontarsi.

3. 2011: una specie di Ally McBeal

Il terzo progetto di serie televisiva è stato concepito nel 2011. Sembrava nascere sotto i migliori auspici, che avevano il nome e cognome di David E. Kelley, autore di serie di successo, soprattutto legal dramaUn po’ sulla falsariga della sua creazione più famosa, Ally McBeal, la sua idea era quella di concentrarsi sulla vita privata dell’eroina, interpretata stavolta da Adrianne Palicki.

Wonder Woman è l’eroina che protegge Los Angeles, ma tutti sanno che è Diana Themyscira, a capo delle Themyscira Industries, fondate sullo sfruttamento commerciale della sua immagine. Diana ha anche una terza identità, questa volta segreta: assumendo il cognome di Prince, si rifugia in un triste appartamento che divide con un gatto, dove, guardando film d’amore, è libera di ripensare a Steve Trevor, l’ex-fidanzato che le ha spezzato il cuore. Presto si scontra con le trame di Veronica Cole (Liz Hurley), donna d’affari senza scrupoli che commercializza farmaci mortali. Può però contare su un alleato nelle forze dell’ordine, il detective Ed Indelicato (un ancora sconosciuto ma già notevole Pedro Pascal, oggi famoso per aver interpretato Oberyn Martell e Javier Peña).

Il pilot ha una cifra smaccatamente trash, un trash che non è solo esasperazione ironica dell’elemento pop legato alla serie con la Carter. Per niente raffinato è il costume della protagonista, che – sia nella versione con pantaloni da cavallerizza che in quella tradizionale – definire sexy è un eufemismo. Poco elegante è anche il modo in cui si gioca con l’immagine provocante dell’eroina: durante una riunione d’affari Diana cestina il design delle nuove action figures da mettere in vendita, chiudendo la discussione con la frase «Non ho mai detto di fare merchandising con le mie tette!» (sic!), mentre in varie scene successive la telecamera indulge proprio sul suo generoso decolleté. Inoltre, il modus operandi dell’eroina è a tratti disturbante: non esita a torturare un sospettato costretto in un letto d’ospedale per ottenere informazioni (con buona pace del lazo della verità), e nel combattimento finale inchioda un uomo ad una porta trafiggendogli la gola con una spranga. Questa spietatezza si spegne poi nella scena finale: dopo essere stata applaudita per la sua vittoria sui cattivi come Wonder Woman, in veste di Diana Prince torna a casa e si iscrive a Facebook, specificando di essere single dopo aver scoperto che l’ex si è sposato.

Anche in questo caso il progetto non superò la prova del pilot. Forse perché, come dimostra il successo ottenuto dal film di Patty Jenkins, concepito per piacere agli spettatori ma anche alle spettatrici, in questo momento storico almeno il 50% del pubblico non ha voglia di assistere alla trasformazione di un’eroina iconica in un’ennesima macchietta stereotipata. David E. Kelley ha commentato il suo insuccesso così:

Penso ancora che il progetto sia buono per una serie televisiva. Che sia maturo. Abbiamo fatto degli errori. Il mio unico rimpianto è che non abbiamo avuto la possibilità di correggerlo. C’erano un sacco di cose che funzionavano e un grande cast. Nel tempo avremmo messo a posto quello che non andava, ma non ne abbiamo avuto l’occasione. Tutte le mie serie sono state un work in progress almeno fino al terzo, quarto o quinto episodio. Questo progetto ha preso forma più rapidamente di quanto mi sia successo in passato. Siamo arrivati a questo risultato e avrei voluto lavorarci ancora un po’. Credo nel potenziale di questa serie. Penso sarebbe stato un grande successo.

Chi è rimasto affascinato da Adrianne Palicki in versione supereroina, potrà seguirla altrove, e in altre vesti super, ovvero in Agent of S.H.I.E.L.D., dove interpreta Bobbi Morse alias Mimo.

Fonte : [Fumettologica]

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Wonder Woman 1975

Con: Lynda Carter, Lyle Waggoner. Produzione: Usa, 1975, avventura/fantastico, colore (58 episodi da 60′; 2 episodi da 90′).

La prima super-eroina delle strips americane, creata dallo psicologo William Moulton Marston in coppia con il disegnatore Harry G. Peters nel 1942, approda in televisione grazie all’atletica Lynda Carter, ex Miss Universo e Miss America. Tuttavia nel primo ciclo (inedito in Italia), a interpretare la “donna meravigliosa” apparsa per la prima volta nell’albo “Sensation Comics”, fu chiamata Cathy Lee Crosby. Le storie ricalcano fedelmente il fumetto: Wonder Woman, la cui stirpe nasce nel 200 a.C. sull’isola del Paradiso per desiderio di Afrodite (qui vi narriamo le origini del personaggio), deve vedersela contro i nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Nella seconda stagione (quella con la Carter) l’ambientazione viene attualizzata e la nostra combatte contro criminali dei giorni nostri e terroristi internazionali. Avvenente, dotata di superpoteri fisici e intellettuali, quando non indossa il costume da eroina — riproducente la bandiera americana — conduce una vita qualunque con il nome di Diana Prince. Sempre nel secondo ciclo Wonder Woman s’innamora del maggiore Steve Trevor (Lyle Waggoner), membro dell’International Agency Defense Command: al contrario del fumetto, dove la nostra non provava alcun interesse romantico e non nascondeva un ceno odio per gli uomini.

Tra le altre differenze rispetto alla versione disegnata: nel telefilm l’eroina perde le sue facoltà se non indossa la cintura (nelle strips a donarle la forza erano i bracciali); nel serial la nostra è in grado di replicare alla perfezione la voce di chiunque (nell’originale su carta non c’è traccia di questa dote). Debra Wmger compare in qualche puntata nelle vesti di Drusilla, la sorella minore di Diana che cela l’identità di Wonder Girl. I produttori esecutivi della serie sono Douglas S. Cramer e Wilfred Baumes. Stanley Ralph Ross è l’ideatore dell’ adattamento televisivo. La colonna sonora è composta a quattro mani da Charles Fox — autore del tema musicale — e Norman Gimble. Nel 2000 la Mattel ha messo in commercio la Barbie “Wonder Woman”, riproducente il personaggio interpretato da Lynda Carter quasi un quarto di secolo prima.

Una curiosità: il super-potere che rende l’eroina invincibile si chiama “Feminum”, in linea perfetta con le campagne anti-maschiliste degli anni Settanta.

Un’altra curiosità che farà impazzire i cultori dei telefilm DC Comics: Steve Trevor, ovvero l’attore Lyle Waggone è stato Batman

Nel 1966 per screen test fu scelto Lyle Waggoner come Bruce Wayne/Batman nella lavorazione della serie TV. Ma alla fine si scelse di girare con Adam West. Solo nove anni dopo Waggoner fu scelto per la parte di Steve Trevor nella serie TV di Wonder Woman con Lynda Carter. Qui di seguito troverete qualche test screening.