Batman: qualche considerazione sugli anni 80…o giù di lì – Parte 1/2

A metà degli anni 80, il panorama del comic book americano era caratterizzato da una situazione assolutamente consolidata, per non dire stagnante. Tre “protagonisti” si muovevano sul mercato, ognuno con un proprio ruolo preciso e definito e – in apparenza – destinato a non subire modificazioni significative. A un estremo si aveva la Marvel, la casa editrice di fumetti più potente del mondo, che sfornava mensilmente tonnellate di albi di supereroi che le garantivano il primato delle vendite in entrambi i canali distributivi dei comic books: quello tradizionale dei newss-tand (che dovrebbe essere – ma non è – l’equivalente delle nostre edicole) frequentato soprattutto dai lettori più giovani, ovvero dai loro genitori disposti a portare a casa, magari occasionalmente, qualche fumetto, e quello dei “negozi specializzati”, ormai diffusissimi in tutti gli Stati Uniti (che hanno rappresentato la salvezza dell’intera industria del comic book), dove gli appassionati e i collezionisti comprano regolarmente i loro albi. All’estremo opposto si trovano i cosiddetti “indipendenti”, piccole case editrici come First, Eclipse, Comico, Blackthorne, Dark Horse, Reivegade, Kitchen Sink, Gladstone e decine di altre, che lavorando esclusivamente attraverso reti di negozi specializzati cercavano (e non sempre trovavano o riuscivano a conservare) il loro piccolo spazio per proporre personaggi spesso diversi dal tradizionale supereroe, spesso nettamente migliori sia nella sostanza che nella forma, ma comunque condannati a restare circoscritti in un ambito limitato anche a causa di prezzi di copertina doppi o più che doppi rispetto al prodotto Marvel e DC. La stragrande maggioranza della produzione indipendente è tuttora inedita in Italia e questo è un grosso peccato, perché in mezzo a tante cose tutto sommato inutili si nascondono autentiche perle finora ignorate dalla nostra editoria, e che rischiano di essere negate per sempre agli appassionati di casa nostra… Tra i due estremi appena accennati si collocava la DC (Detective Comics, dalla testata che da sempre aveva ospitato le avventure di Batman), nota anche come National. Un tempo indiscussa regina del mondo dei fumetti americani, la DC che, non va dimenticato, aveva inventato nell’immediato anteguerra il genere “supereroi” con personaggi del calibro di Superman, Batman e Flash (per non citare che i tre che anche in Italia hanno avuto un larghissimo successo di pubblico) e che per decenni aveva guardato dall’alto (delle vendite) in basso tutte le sue concorrenti, ormai da molti anni si dibatteva in una crisi che pareva senza fondo e senza sbocco. Una crisi chiaramente determinata da mancanza di idee nuove, di creatività. Una crisi originata dall’errore di pensare che la infinita reiterazione di una formula di successo potesse infinitamente garantire vendite e profitti. Una crisi esplosa verso la metà degli anni Settanta, quando qualcuno si era accorto probabilmente con stupore, che la “piccola” Marvel dei “supereroi con super problemi” aveva effettuato il sorpasso anche nelle vendite, dopo aver effettuato quello nell’apprezzamento dei critici e degli appassionati. Una crisi, infine, fatta pagare per intero al solo Carmine Infantino, a quel tempo Grande Capo della DC dopo che per anni ne era stato uno dei migliori disegnatori (suoi un Flash e un Batman fra i migliori, suo quell’Adam Strange, non molto conosciuto in Italia, ma per il quale Infantino sarà sempre ricordato nella storia del comic book americano). Ma sostituire un Grande Capo con un altro – anzi un’altra, visto che per rilanciare la DC la scelta cadde su una donna, Jeneue Khan – non è, di per sé, garanzia di successo, o, quanto meno, di inversione di trend. E infatti la crisi continuò per molti anni, con la Marvel che si staccava sempre più sia come vendite che come gradimento, e con gli indipendenti che, a loro volta, sottraevano dollari e prestigio al vecchio gigante stanco. Ma, a ulteriore conferma, ove fosse necessario, che la soluzione a crisi di questo genere può venire solo dalla creatività di veri artisti, nella seconda metà degli anni Ottanta, e sempre sotto la guida di Jenette Khan e di Dick Giordano (altro grande disegnatore della DC passato dal cavalletto alla scrivania), si è assistito a una inversione di tendenza che, in termini di qualità del prodotto offerto, ha permesso alla DC di riprendere il sopravvento sulla Marvel e che, in termini di vendite, ha riportato i due giganti a competere su un piano di quasi assoluta parità. Quello che è successo è che, molto semplicemente, alcuni grandi talenti creativi americani hanno cominciato a non sentirsi più a proprio agio nell’universo Marvel (o forse nella redazione Marvel, guidata con piglio forse troppo dittatoriale da Jim Shooter), e le porte della DC si spalancano, ma non solo offrendo la possibilità di lavorare sui character tradizionali, bensì lasciando spazio alla sperimentazione e all’innovazione. E’ in questo modo che Frank Miller, che si è fatto un nome reinventando e rilanciando Devil alla Marvel, approda alla DC, che gli consente di realizzare un progetto ambizioso e decisamente “difficile” come Ronin (che “Corto Maltese” ha presentato in Italia a puntate… semestrali). E Miller la ripaga inventando quel “Batman: The Dark Knight Returns” che, praticamente da solo, risveglia la “bella addormentata” DC risvegliando un personaggio, Batman, che a sua volta aveva dormito il sonno della mediocrità per più di dieci anni.

Anche Dark Knight è stato presentato in Italia da “Corto Maltese” (per altro nella solita maniera piuttosto censurabile), ed è quindi inutile soffermarsi sulla sua storia, certamente nota ai più che leggono queste note, e da non rivelarsi nel dettaglio a chi ancora non l’ha letta (cosa che consiglio caldamente di fare, magari attendendo la doverosa pubblicazione in volume e sperando che non occorrano anni [il volume è uscito nel 1993, n. ci. r.]). Ironicamente, il Batman di Miller è un Batman vecchio e stanco, che da anni ha riposto maschera e cappa. Così come vecchio e stanco lo vede probabilmente Miller, autore poco più che trentenne e scarsamente incline a rispettare miti e canoni. L’operazione che Miller inizia a compiere con questo suo primo lavoro sul personaggio è, fondamentalmente, molto semplice: l’autore scruta nel profondo del personaggio e, acutamente, ne rivede le origini; rivede l’uomo solitario, il personaggio della notte, la nemesi dei criminali. E rivede l’uomo senza superpoteri, quindi vulnerabile. E, soprattutto, l’uomo ossessionato. Con un colpo di spugna Miller cancella anni di frivolezza, di ironia, di codice di autodisciplina, e scaraventa Batman in una Gotham City violenta, molto più violenta e fatiscente di quanto non sia mai stata. Ripropone, sia pure nel suo personalissimo stile al limite della sgradevolezza, il Batman che generazioni di lettori non avevano mai visto. Un Batman pronto a colpire e a uccidere, a massacrare nel nome dell’unica legge che conosce e riconosce: la propria. E un Batman i cui avversari non sono più i “quasi simpatici” arcicriminali destinati a essere sconfitti e imprigionati solo per poi ritornare, immutati e immutabili, a distanza di qualche numero. No, i nuovi avversari sono, nel mondo di Miller, – psicopatici assatanati, corrotti e corruttori, sadici, feccia. In altre parole, personaggi reali, o almeno realistici, sia pure magnificati (nel senso etimologico della parola) nella finzione artistica. Il risultato di questa operazione? Un trionfo. Un trionfo di vendite, con un titolo DC che dopo anni di mediocrità torna in vetta alla hit parade dei fumetti statunitensi; ma soprattutto un trionfo di critica e di costume, con i mass media che dedicano articoli e copertine, spazi in radio e in TV al nuovo “fenomeno” Batman. Con le inevitabili diatribe fra i pro e i contro, questi ultimi impressionati dalla violenza e dal pessimismo che trasudano dalle pagine di “Dark Knight”. Ma di questo parleremo la prossima volta. Non mancate!

Corto Maltese n. 69 del giugno 1989 (Rizzoli Editore)

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Edizioni PLAY PRESS: Vent’anni di comics in Italia Parte 2: La Distinta Concorrenza

 di Francesco Vanagolli (uno dei maggiori e migliori traduttori di materiale DC Comics in Italia) su gentile concessione del blog Fumetti di Carta.

Come promesso, eccoci al 1990, anno che per la Play Press è particolarmente importante. Non solo infatti continuano ad uscire numerose proposte Marvel, ma spuntano nelle edicole anche i primi titoli regolari DC Comics dalla fine dell’epoca DC/Cenisio.
Non si tratta, come auspicabile, di testate dedicate ai pesi massimi Superman e Batman (quest’ultimo popolarissimo grazie al primo film di Tim Burton): i due World’s finest sono saldamente in mano alla Rizzoli, che ne pubblica le storie più importanti dell’epoca sottoforma di inserti della rivista CORTO MALTESE. Rimane però libero il resto dell’Universo DC, in quel periodo ringiovanito dagli effetti di CRISIS ON INFINITE EARTHS. Ed è proprio tra le collane rilanciate nella seconda metà degli anni ’80 che la Play pesca per varare i suoi primi due mensili DC Comics nella primavera del ’90: JUSTICE LEAGUE e GREEN ARROW. Il primo, che parte con il crossover LEGENDS di Len Wein, John Ostrander e John Byrne, introduce ai lettori italiani la nuova spassosa Lega della giustizia post-Crisis di Keith Giffen, Jean Marc DeMatteis e Kevin Maguire, affiancata dalla Wonder Woman rebootata di George Pérez, dal Lanterna Verde proveniente da ACTION COMICS WEEKLY di Jim Owsley e Mark Bright e, poco più tardi, dal Flash di Mike Baron e Jackson Guice. Una buona fetta di classico DCU, con materiale moderno e personaggi che in Italia fino a quel momento non avevano mai sfondato ma che erano rimasti nel cuore degli appassionati hardcore.
Il secondo mensile si rivolge ai lettori rimasti più colpiti dalle allora nuove opere revisioniste figlie di Frank Miller e dell’invasione inglese, e offre ogni mese storie meno supereroistiche e più adulte a cominciare ovviamente da quelle del titolare di testata, Freccia Verde, incupito da Mike Grell e Ed Hannigan. A seguire, Blackhawk di Howard Chaykin, Question di Dennis O’Neil e Denys Cowan e Doc Savage di Dennis O’Neil e Adam e Andy Kubert.
Due testate con sommari ben studiati (e questo lo dice uno che non prova un grande amore per la seconda), che offrono ai lettori la possibilità di conoscere due volti della casa editrice americana. I due brossurati (formato che ormai è quello di ogni titolo Play Press) ottengono un buon successo, e presto inizia una neanche troppo lenta rinascita del DCU in Italia: all’inizio del 1991 la collana PLAY SAGA ospita cicli e miniserie di una certa rilevanza, prima fra tutte CRISIS (saggia la scelta di pubblicare un simile malloppo di continuity DOPO aver riportato i personaggi principali del Cosmo DC); PLAY BOOK alterna volumi Marvel ad altri DC, compresi alcuni classici come l’Hawkman di Gardner Fox e Joe Kubert e il breve ma noto ciclo di Lanterna Verde e Freccia Verde di Dennis O’Neil e Neal Adams. La novità più gradita dagli appassionati DC, però, è probabilmente il mensile AMERICAN HEROES, che dal 1992 pubblica run come la Doom Patrol e l’Animal Man di Morrison (toh, è stata la Play a pubblicare per prima massicce dosi regolari di fumetti scritti da Morrison. E questo prima che diventasse popolare), la Legione dei Supereroi di Giffen, il primo Lobo di Giffen e Simon Bisley e soprattutto i Nuovi Giovani Titani di Marv Wolfman e George Pérez, il più popolare titolo DC degli anni ’80. La chiusura di JUSTICE LEAGUE con il numero 33 farà confluire nelle pagine di AH anche le due Leghe, Internazionale ed Europea.
Non sarebbe poi sbagliato ricordare che molto del merito per cura editoriale e la scelta del materiale è di Luca Scatasta, che all’epoca iniziava a farsi notare nel fumetto italiano. Ricordate cos’avevo detto la scorsa volta? In Play all’inizio non c’erano veri esperti o appassionati. Era tutto lavoro di redazione, di anonimi articolisti e traduttori con scarsa conoscenza in materia di comics americani. E allora non devono stupire scivoloni tipo il nome “Silver Surfers” sulla cover del primo IRON MAN o la città di Madripoor che, nel serial di WOLVERINE tratto da MARVEL COMICS PRESENTS ospitato su THE ‘NAM diventa una città del futuro (errore che verrà poi corretto nella riedizione in volume). Con l’arrivo di collaboratori attenti come Scatasta errori simili diventeranno sempre più rari.

Play Saga #1-8: "Crisis on Infinite Earths" Edizione Play Press da Novembre 1990 a Giugno 1991

Play Saga #1-8: “Crisis on Infinite Earths” Edizione Play Press da Novembre 1990 a Giugno 1991

Ma anche in campo Marvel c’è movimento.
Nonostante la chiusura di diverse serie (tutte quelle slegate dal Marvel Universe, I NUOVI MUTANTI, D.P.7, THE ‘NAM), l’editore romano non rinuncia a nuovi lanci o al recupero in veste di comprimari di personaggi rimasti senza fissa dimora. Il nuovo mensile X-MARVEL, sede di X-Factor e di varie storie brevi dell’universo mutante, accoglie quindi dopo pochi mesi i New Mutants, e NAMOR, lanciato per via dall’enorme popolarità di John Byrne nel nostro Paese, concede spazio ai Displaced Paranormal Seven e alla retrospettiva di Iron Man.
Come anticipato qualche riga più su, la Play è anche la prima casa editrice di comics in Italia a proporre volumi che ristampano cicli di storie pubblicate poco prima; a parte Wolverine, anche altre saghe di MCP tornano sottoforma di trade paperback: Colosso (da WOLVERINE), L’Uomo cosa (da I NUOVI MUTANTI) e Shang Chi (da G.I.JOE).
A proposito di questo, è facile notare un difetto che colpirà buona parte della produzione Marvel/Play fino alla fine: gli abbinamenti infelici. Un po’ a causa dell’inesperienza/noncuranza dei primi redattori, un po’ perché alcuni personaggi sono già pubblicati dalla Star Comics, quasi sempre gli albi Play presentano coppie di titolari e comprimari che in certi casi si possono definire improbabili. Il già citato Shang Chi (detto “il Cinese”) non ha niente a che fare con i soldatini snodabili della Hasbro, e forse sarebbe meglio tenere separati il Nuovo Universo di D.P.7 da quello classico di Iron Man. Intendiamoci, niente da dire sulla qualità delle proposte (a meno che non si citino i terrificanti comprimari di IRON MAN: chi ricorda il Nick Fury scritto da Chichester o l’anonimo Coldblood? Grazie a Dio per quelle pagine c’è passato anche lo Squadrone Supremo di Mark Gruenwald), ma in quanto a coerenza certe testate Play lasciano un po’ a desiderare).
Nel 1991, comunque, ne arriva una che sarà fino alla fine dell’era Marvel/Play la punta di diamante dell’editore romano: dopo oltre un anno nel ruolo di comprimario di Silver Surfer, il dio del tuono ottiene un suo albo regolare, intitolato THE MIGHTY THOR come in originale. Il tonante ha sempre goduto di un’ampia popolarità tra i fan italiani, e questa tradizione continua anche con l’albo Play. Per forza: prima Walt Simonson e poi Tom DeFalco e Ron Frenz danno il meglio di sé, regalando ai lettori la rinascita di un personaggio che fino a pochi anni prima in America era stato abbastanza bistrattato. Per non parlare dei comprimari, che a parte gli anonimi Eterni di Peter B. Gillis e Sal Buscema, non sono da buttare: non pensate anche voi che l’Ercole di Bob Layton, il Dottor Strange di Roger Stern e Marshall Rogers e il Rocket Raccoon di Bill Mantlo e Mike Mignola fossero dei degnissimi comprimari per il Tonante? Oh, se prima abbiamo citato Scatasta, non possiamo far torto a un’altra colonna della Play che proprio con il mensile di Thor inizia a lavorare nel mondo del fumetto italiano: Alessandro Bottero. Che non solo di fumetti ne sa, ma ama in particolar modo proprio questo eroe… e vi assicuro che quando qualcuno lavora su un personaggio che ama, la cosa si nota eccome.
Certo, il titolo della serie porta a riflettere su un altro difetto delle pubblicazioni Play Press: la grafica. Precisiamo: le copertine sono migliori di quelle della Star, e anche la grafica interna e le pubblicità sono semplici ma efficaci. Però, fateci caso: la Play usa sempre titoli che o rimangono in inglese o possono essere coperti con facilità. Immagino fosse per risparmiare, o per mancanza di voglia dei grafici. Sta di fatto che quel “the mighty” pare piuttosto strano, così come certi strilloni nelle copertine che ogni tanto rimangono in inglese. Niente da ridire invece sul mantenimento dei titoli delle storie in inglese con traduzione a fianco: se l’alternativa sono le orrende “toppe” stile Star che coprono un pezzo di disegno, allora viva i titoli in inglese!
Ci avviciniamo alla fine anche di questa puntata… con la Marvel che regna suprema e la DC che resiste.
Ma stanno per arrivare momenti un po’ particolari per le testate Marvel targate Play Press. Momenti nei quali, forse, ci vorrebbe un Uomo d’Acciaio per dare una mano.
Ne parleremo nel terzo episodio…

Batman: The Killing Joke

Titolo: Batman: The Killing Joke
Autori: Alan Moore, Brian Bolland
Edizione originale: Batman: The Killing Joke (1988)
Edizione italiana: Batman: The Killing Joke (Play Press, 1997), I classici del fumetto vol.24: Batman (L’espresso/Panini Comics, 2003), Batman: The Killing Joke absolute (Planeta DeAgostini, 2009), DC Universe di Alan Moore (RW Lion, 2012), Batman: The Killing Joke absolute (RW Lion, 2013), Batman: The Killing Joke Basic (RW Lion, 2019), Batman: The Killing Joke absolute (RW Lion, 2019) stampato con la colorazione originale e quella più recente di Brian Bolland.

Batman The Killing Joke, si puo’ certamente affermare che e’ l’eccellenza del fumetto autoconclusivo raccolto in pochissime pagine. Mi permetto di consigliarne la lettura a tutti, anche a coloro che non necessariamente conoscono la cronologia di tutti i fumetti di Batman.

Credo che un buon conoscitore di comics, dovrebbe annoverarla nella sua libreria, perche’ e’ scritta da Alan Moore (V per Vendetta e Watcheman) e disegnata di Brian Bolland, che nell’edizione Assoluta edita nel 2009 della Planeta De Agostini ha “ricolorato” le tavole cosi’ come lui le aveva immaginate nel 1998, nonche’ ha aggiunto particolari visivi ai disegni originari, rivelandone una sua personalissima visione rispetto all’originale edito per la prima volta in Italia nella Collana Corto Maltese allegato al n. 1 del gennaio 1990.

Batman e’ l’unico vero difensore di Gotham City e in quanto tale, in questa storia, si sente solo e avverte, come non mai un senso molto forte di isolamento.


L’unico che puo’ capire cio’ che prova il Crociato Incappucciato e’ la sua nemesi: Joker. E proprio grazie a questa comprensione il nostro eroe ritrova la sua “normalita’” nel rapporto con il Clown, fino quasi a diventarne suo “amico”, per quanto paradossale possa sembrare, in questo giornalino si avverte proprio questa impressione. Infatti, proprio il racconto della storia svela le origini del Joker, introduce elementi che riguardano il background della sua tragica vita, in cui evidenzia il dramma della morte dei genitori del villain, fornendo ampio spazio e profondita’ a un certo “gioco” psicologico fino ad affrontarne la coscienza, gli istinti, le sensazioni. Finalmente, dopo anni in cui il Joker era considerato solo un acerrimo nemico, anzi l’irriducibile nemico per eccellenza, in questo fumetto Moore si domanda come sia divenato il “castigo” di Batman, come i due personaggi, che qui non si conoscono, possono arrivare ad odiarsi e allo stesso modo trovarsi come davanti ad uno specchio in cui da una parte c’e’ il riflesso di una persona che vive la vita con sani principi morali e l’altra che vive la vita come se fosse un gioco da forsennato e squilibrato. Cosa ha reso Joker così schizzoide, folle, malvagio, perverso? La risposta e’ semplice, ma alquanto veritiera: e’ bastata una giornata andata male che ha distrutto e deviato mentalmente il sadico ed eccentrico burlone.
« Tutto ciò che serve è una brutta giornata per ridurre l’ uomo più sano di mente alla follia. Ecco fino a che punto è il mondo da dove vengo io. Solo una brutta giornata. Hai avuto una brutta giornata, una volta. Ho ragione? So che è così. Posso dire. Hai avuto una brutta giornata e tutto è cambiato. Perché altrimenti ti vesti come un topo volante? »

Insomma il Joker ci appare come attraversato da lampi di umorismo sull’assurdità della vita…
Ma non vi raccontiamo altro, lasciamo siate voi a scoprire questa opera che entra negli annali di Batman.

Questa è l’analisi del fumetto del giornalista Alessandro Di Nocera, che ci fa piacere condividere.

A PROPOSITO DI “THE KILLING JOKE”

1) “The Killing Joke” è un ALBO ONE-SHOT pubblicato dalla DC Comics nel 1988. Autori, i britannici Alan Moore (sceneggiatore) e Brian Bolland (disegnatore), col fondamentale contributo, ai colori, di John Higgins (già autore della parte cromatica di “Watchmen”). In seguito, Bolland ha rinnegato i colori di Higgins provvedendo a rifare completamente la parte cromatica secondo una propria visione.

2) “The Killing Joke” NON E’ UN “ELSEWORLD”, non è cioè ambientato in un “universo parallelo” così come, per esempio, “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro” o “Venga il Tuo Regno”. E’ invece INSERITO IN PIENA CONTINUITY e ciò che vi accade ha delle ripercussioni sull’universo narrativo principale di Batman e del DC UNIVERSE in generale.

3) La principale ripercussione è la trasformazione di Barbara Gordon – che in “The Killing Joke” viene gravemente ferita e violentata dal Joker – nella superhacker paraplegica ORACOLO, che diventa così il suo nuovo nome di battaglia dopo che la ragazza aveva indossato per anni il costume di BATGIRL.

4) In “The Killing Joke”, il Joker vuole dimostrare che basta una giornata storta per trasformare – così come accaduto a lui – un uomo in un pazzo scatenato. Per farlo cattura il commissario Gordon e lo pone di fronte alle terrificanti e oscene foto di sua figlia Barbara denudata e sopraffatta dal dolore. In questo modo vorrebbe scatenare (come accadrà in un film come “Seven”) l’ira e la follia di Gordon. Ma non ci riesce. Anzi, quando Batman interviene a liberarlo, il commissario intima al Cavaliere Oscuro che deve catturare il Joker rispettando le regole della legge. Il criminale, quindi, FALLISCE nel suo intento primario.

5) Nel corso della storia, il Joker afferma che la storia del suo passato e delle sue origini, così come li sta ricordando, potrebbe non corrispondere a quanto davvero avvenuto e che li trasforma di continuo nella sua mente.

6) Nel finale di “The Killing Joke”, Batman NON UCCIDE il Joker. La pagina conclusiva costituisce però un presagio di morte e di dissoluzione per entrambi.

7) Perché, vi state chiedendo? Perché il titolo “The Killing Joke” deriva da uno STORICO SKETCH dei MONTY PYTHON in cui si narra di una barzelletta talmente esilarante da uccidere chiunque la legga, la racconti e la ascolti, al punto da essere impiegata nella Seconda Guerra Mondiale come arma di distruzione di massa. Nel finale di “The Killing Joke”, il Joker racconta quindi a Batman LA BARZELLETTA CHE UCCIDE (che poi simboleggia l’assurdità della vita). Una barzelletta che arriva a suscitare l’imprevista ilarità di Batman (che ha una reazione simile a quella del nazista presente nello sketch dei Monty Python). Ma quella di Batman non è una risata libera. Ha impattato nella Barzelletta che Uccide: porta alla morte sia chi la dice che chi la ascolta. E così abbiamo una chiusura perfetta con ciò che afferma il Crociato Incappucciato all’inizio della storia (in sintesi: “Saremo destinati a ucciderci a vicenda”).

8) Lo sketch dei Monty Python ispirò anche il nome di una band britannica fondamentale per la scena post-punk e new wave: I KILLING JOKE. E’ probabile che sia stato JAZ COLEMAN – cantante e tastierista del gruppo – a fornire ispirazione per l’atteggiamento del Joker in “The Killing Joke”. Basta dare un’occhiata al videoclip della canzone “A New Day”. Da ricordare che Alan Moore, ai tempi, aveva frequentato quella scena musicale, collaborando coi Love and Rockets, nati dallo scioglimento dei Bauhaus.

9) Che in “The Killing Joke”, il Joker avesse deformato diversi aspetti del suo passato e delle sue origini – ricordate: lo one-shot è in continuity – viene svelato in una storyline del 2004 intitolata “PUSHBACK – RAPPRESAGLIA”, scritta dal misterioso sceneggiatore A.J. Lieberman, disegnata da Al Barrionuevo e inserita nella serie di effimera durata “BATMAN: GOTHAM KNIGHTS”, con cover di Lee Bermejo.

Qui il Joker spiega al PINGUINO che sua moglie era a conoscenza del fatto che avrebbe dovuto partecipare alla rapina allo stabilimento chimico dove – cadendo in un serbatoio di sostanze velenose – la sua pelle e i suoi capelli si sarebbero trasformati. Era stato lei a scongiurarlo di desistere, ma quando lui, convinto, aveva deciso di ritirarsi, i complici l’avevano rapita, costringendo il futuro Joker a partecipare al colpo. Dopo il fallimento della rapina e il tragico incidente del serbatoio, l’uomo era impazzito scoprendo che la moglie era morta nell’esplosione del palazzo in cui era tenuta prigioniera. La verità, tuttavia, era che la donna era stata uccisa con un colpo d’arma da fuoco da Oliver Hammet, un poliziotto corrotto. E involontario testimone dell’efferato omicidio era stato Edward Nigma, l’ Enigmista.

Noi qui sotto ve lo lasciamo scaricare per una versione dimostrativa, ma anche con la calda raccomandazione di comprare, se ancora non lo avete fatto, il fumetto in tutto il suo splendore.

(FUMETTI – ita) – Batman – The Killing Joke – DC

Qui invece, potete godere del fumetto recitato in lingua inglese.